Bonus Malus 2

05.06.2016 00:42

Merito: acquisizione di un diritto a vedersi riconosciuto un talento e/o un’azione apprezzabile.

Il merito è un artefatto sociale. Il talento e/o l’azione di “A” sono riconosciuti da “B” come elementi utili al benessere della società. “B” incarna le norme sociali, etiche, le tradizioni culturali della società.

Il merito è, dunque, relativo; ciò che è merito per un gruppo sociale può essere demerito in un altro.

Il merito di per sé non realizza la giustizia, poiché anche la giustizia è relativa.

Aristotele distingue il buon cittadino dall’uomo buono. Il buon cittadino è integrato nella città, ne rispetta le norme, aderisce alle tradizioni, pratica con osservanza i riti religiosi, ma se la città è una tirannide, questi difficilmente sarà un uomo buono.

Nella scuola è stata introdotta la cosiddetta valutazione del merito dei docenti.

A “B” è stato dato il non facile compito di valutare “A”, “A1”, “A2”, “A3”, …, e di stabilire e ricompensare chi di questi abbia acquisito il merito. Innanzitutto “B” non valuta i precari. Per norma i precari non meritano. Talenti e/o azioni virtuose sono per loro tabù. “B” deve limitarsi ad individuare una ristrettissima platea di meritevoli con contratto a tempo indeterminato.  Impresa ardua!

Con queste premesse, non siamo in un certo senso nella tirannide della polis che Aristotele richiama nel suo ragionamento? Se si stabiliscono poi dei criteri sorretti da una logica in cui le prestazioni e le ricompense sono concepite come grandezze scalari e crescenti, non si rischia di esaltare l’evidenza a scapito dell’occorrenza? Con quale righello, mi chiedo, si possono misurare quei comportamenti messi in atto dall’insegnante che aumentano negli alunni autostima e motivazione, elementi si cui è più facile costruire i percorsi di apprendimento? Acquisire dei meriti richiede uno sforzo che si applica in profondità e non in superficie. E spesso, per leggerezza o peggio per dolo, questa profondità resta inesplorata.

“Il merito di cui si parla sembra essere usato più come un mantra: più se ne parla e più si svalorizza il suo significato”.1[1]

Al merito riconosciuto e ricompensato in una relazione verticale in cui “A” e “B” ricoprono ruoli gerarchici diversi, preferisco il merito riconosciuto in una relazione orizzontale, tra pari, dove la ricompensa si evidenzia in apprezzamento, lode, considerazione, ammirazione e non necessariamente in monetizzazione e che non dà luogo a nessuna qualsivoglia forma di gerarchizzazione tra insegnanti naturalmente e culturalmente differenti.

Concludo in modo sportivo citando il professor Brigati, docente di Filosofia Morale all’Università di Bologna: “ Una squadra che segna più punti in una partita vince, ma non necessariamente ha meritato di vincere”.[2]

 


[1] Roberto Brigati, Il giusto a chi va, Il Mulino

[2] Ibidem

 

 

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